Nero Kane e Samantha Stella e il nuovo “Of Knowledge and revelation”

A pochi giorni dall’uscita della sua terza fatica in studio, l’affascinante “Of Knowledge and Revelation”(Subsound Records, disponibile in doppio vinile LP rpm, CD e digitale e il cui pre-order è già disponibile da alcune settimane), siamo nuovamente tornati a fare qualche domanda all’affascinante songwriter milanese Nero Kane, ormai vera e propria stella dello psych dark folk tricolore, e alla sua collaboratrice Samantha Stella.

Ecco cosa ci hanno raccontato

 

Ciao Nero, ciao Samantha. Direi di partire dal titolo di questa nuova sortita discografica, “Of Knowledge and Revelation”: qual è il concept che cela, è il risultato di quali riflessioni-ispirazioni?

 

NK – Mi piace vedere questo nuovo lavoro come il terzo, e forse ultimo, capitolo di una sorta di trilogia iniziata nel 2018 con il mio primo lavoro solista “Love In A Dying World” e proseguita con “Tales of Faith and Lunacy” nel 2020. L’idea è che col procedere degli album, e della loro narrazione, il livello di interpretazione si sia elevato da un aspetto più concretamente terreno ad uno via via più etereo, incorporeo e spirituale. Una sorta di processo di elevazione il cui corrispettivo visivo immagino possa essere trovato in un pannello di Hieronymus Bosch del 1490 intitolato “Ascesa all’Empireo” facente parte di un corpo di quattro dipinti, le “Quattro visioni dell’Aldilà”. In questo capolavoro, che è anche stato fonte di ispirazione per uno dei brani contenuti nell’album (nello specifico “The End, The Biginning, The Eternal”), ritrovo un po’ la summa della nuova release. Un viaggio solitario, di ascesa e caduta in una eterna ricerca della luce, della salvezza, mentre l’anima è costretta a vagare in un Limbo dantesco, magistralmente raffigurato dalle incisioni di Gustave Doré della “Divina Commedia” (1861), che sono state altre fonti primarie di ispirazione per questo disco. In queste lande desolate del pianto, del dolore ma anche della rassegnazione, il peregrinare dell’anima è accompagnato da altre voci, altre anime, altri spiriti che gemono e sussurrano, nella costante ricerca della gloria e luce di Dio.

Il titolo dell’album, nello specifico, nasce invece da uno scritto della mistica medievale tedesca Mechthild Von Magdeburg (1250-1270) che recita:

 

“Love without Knowledge, is darkness to the wise soul. Knowledge without revelation, is as the pain of Hell. Revelation without death, cannot be endured.”

Altre fonti vitali di ispirazione sono poi stati gli scritti di E. Cioran “Lacrime e Santi” (1937), in rumeno “Lacrimi și Sfinți”, titolo preso in prestito per un brano del disco, e gli “Inni alla Notte” (1800) di Novalis. Le varie influenze, alcune più dirette e marcate, altre più velate, sono confluite in questo viaggio dal sapore ultraterreno intriso di caducità e vana speranza.

Rispetto al precedente “Tales of Faith and Lunacy”, il nuovo ellepì sembra aver ulteriormente dilatato e rese “liquide” le canzoni. È stata una naturale evoluzione nata in sede di composizione o è il risultato di una qualche trasformazione delle tracce base avvenuta in studio?

 

NK – L’idea di partenza era già quella di dar vita a un’opera lunga, dilatata, senza star lì a preoccuparsi troppo delle tempistiche dei brani. Il mio desiderio sin dall’inizio era quello di fare un doppio album, non so spiegarti bene il perché ma sentivo questa necessità. Il formato del doppio 45 mi aveva poi particolarmente intrigato dopo l’ascolto di “Requiem For Father Murphy“del noto duo Father Murphy, appartenente quel filone affascinante conosciuto come Italian Occult Psychedelia. Per quanto concerne la “liquidità” delle canzoni, credo che sicuramente il lavoro del produttore artistico Matt Bordin, dell’Outside Inside Studio, abbia influito sulla resa finale, ma già i riferimenti di partenza e gli arrangiamenti provati prima di entrare in sala di registrazione fossero indirizzati in tal senso. Diciamo che forse questo aspetto ritualistico e dilatato nasce già nella mia mente mentre lavoro con i loop che poi andranno a formare l’ossatura dei brani. Questa ciclicità atemporale è quello che caratterizza i miei brani ed è quello su cui mi piace lavorare andando poi ad aggiungere i vari layers che daranno una ambientazione al tutto.

 

Sempre rimanendo in tema: gli otto estratti dell’ellepì constano tutti di una durata ragguardevole rispetto al classico “formato singolo” da tre o quattro minuti che domina ormai sovrano nel panorama discografico attuale. Dobbiamo considerarla una presa di posizione in qualche modo ideologica o è mera, irriducibile conseguenza del vostro modo di approcciare al songwriting?

 

NK – Sicuramente non c’è nessuna presa di posizione ideologica, ma è una scelta puramente artistica. Non ho mai minimamente pensato al mercato discografico di ieri o di oggi nell’approcciarmi alla mia musica. Ho sempre e solo seguito il mio istinto e le mie suggestioni, ben consapevole di voler creare una musica per pochi, anzi per pochissimi. Infatti la particolarità di questo progetto è proprio la sua collocazione atipica, a cavallo di vari generi, mai chiaramente riconducibile ad una specifica scena propriamente detta. La sua unicità, e mi piace dire, anche la sua originalità, rappresentano la sua bellezza e la sua forza.

 

L’impatto della musica di Nero Kane ha una peculiarità formale e visionaria che appare evidente fin dal primo ascolto. Cosa dobbiamo aspettarci per il tour di supporto di “Of Knowledge and Revelation”? E, già che ci siamo, potete raccontarci come è nato il lungo, bellissimo video di “Lady of sorrow” che ha lanciato la vostra nuova release

 

NK – Il tour che inizierà il 30 di settembre, data di release dell’album, sarà sempre incentrato su un set minimale che vede me alla chitarra/voce e Samantha alle tastiere/voce. Questa dimensione intima credo sia adeguata al tipo di lavoro fatto. Benché non si possa avere una range sonora così ampia come quella del disco o quella data da una full band, sento che tutti i brani riescono a mantenere inalterate le loro caratteristiche che li identificano e caratterizzano. Le atmosfere sono quelle, semplicemente ri-arrangiate in una chiave più minimale. Il progetto Nero Kane è comunque partito con l’idea di essere un progetto solista, con un set up agile anche per poter essere portato dal vivo senza la necessità di avere molti musicisti.

 

SS –  Concordo pienamente, la forte componente visionaria dell’immaginario compositivo di Nero Kane è integrata con il supporto visivo che creo con immagini fisse e in movimento, concepite non come singoli video musicali, ma come film sperimentali, mediometraggi o cortometraggi, di cui io e Nero siamo protagonisti e che spesso presento in videoinstallazioni o proiezioni in musei e gallerie d’arte, essendo io attiva in primis come artista visiva, performer e filmmaker. Il film californiano per il lancio del primo album, “Love In A Dying World”, debuttò proprio a Los Angeles, per essere poi riproposto in diversi musei italiani. Il film nato a supporto del secondo album, “Tales of Faith and Lunacy”, debuttò al festival “Il Rumore del Lutto” alla Casa della Musica di Parma. Ad oggi, con alcune eccezioni, preferiamo che la loro fruizione sia separata dal live musicale, lasciando che in questo il pubblico possa essere interamente rapito dalla sola suggestione della musica e delle nostre voci, e non da una visione indotta, se non quella di una forte luce rossa e dei nostri due corpi in scena. Proprio una recensione del nostro ultimo live in Germania lo scorso febbraio ha evidenziato come l’atmosfera così creata, il mio corpo quasi immobile, se non il movimento sulle tastiere, la luce lynchiana, il movimento quasi mantrico della chitarra di Nero, si sposassero perfettamente con la musica dando vita ad un “viaggio nell’oscurità”. In questi ultimi due mesi abbiamo lavorato molto al set per il nuovo album, che presenteremo nel tour in Europa e UK che inizia il 30 settembre dalla nostra Milano e toccherà importanti città come Berlino, Londra, Parigi, Roma, Praga e molte altre. Credo che rispetto al set precedente, la dimensione corale creata dalle nostre voci e dall’utilizzo del mellotron, faccia emergere un elemento più mistico e pieno.

Tornando al video, “Lady of Sorrow” è la prima parte di un cortometraggio che ho confezionato insieme a Nero, il quale mi aiuta nelle riprese video laddove io stessa sono in scena. Mi sono rifatta alla “Divina Commedia” di Dante, tra le influenze letterarie nella scrittura dell’album, e ho immaginato Nero come un predicatore-viaggiatore dal mood mistico-desertico alla Jodorowsky nei meandri dei vari gironi danteschi tra Paradiso, Inferno e Purgatorio. Quel giardino di fiori secchi e pieni di spine è un po’ come una selva oscura, tutto potrebbe apparire angelico, ma improvvisamente si tinge di rosso. Accompagna la narrazione un piccolo libricino nero dove tutto potrebbe essere già scritto, anche la propria morte.

 

La vostra collaborazione dura da cinque anni, un lasso di tempo apparentemente non eccessivo, ma comunque importante. Come si è evoluta rispetto agli inizi e, se ve la sentite di fare previsioni, dove andrà a parare nell’immediato futuro?

 

NK – Devo dire che nel corso di questi cinque anni la figura di Samantha ha preso sempre più piede all’interno del progetto. All’inizio la nostra collaborazione era focalizzata più che altro sull’aspetto video, ma già dal tour di presentazione del primo album la sua forte personalità ha donato un ulteriore livello di sviluppo al concept. Come detto poc’anzi, mi piace intendere Nero Kane sempre come un progetto solista che però si avvale del talento di una persona molto affine al mio mondo e alle mie suggestioni, con la quale condivido un profondo interscambio. Noi respiriamo fondamentalmente la stessa aria e questo ci avvicina ed influenza molto. Onestamente non ho progetti chiari per il futuro, mi sento in un momento della mia vita difficile che potrebbe portarmi ovunque. Questo disco segna indubbiamente un importante punto di arrivo nel mio percorso artistico ma anche, forse, un momento di pausa necessario a riorganizzare certe cose. Vorrei in qualche modo continuare ad andare avanti e crescere musicalmente, ampliare sempre di più la mia produzione, ma vorrei farlo in una maniera sempre diversa, con nuovi stimoli, nuovi risultati e nuove soluzioni espressive.
SS – Tutto è stato un percorso naturale. Dal punto di vista meramente creativo, da un mio primo apporto solo visivo, sono passata ad affiancare Nero sul palco con tastiere e backing vocals su canzoni da lui create, per poi scrivere veri e propri testi e lavorare insieme su arrangiamenti minimali di organo/piano/mellotron da affiancare alle sue chitarre e ai suoi loop durante la stesura di nuove canzoni, e a usare in modo più ampio la mia voce, cosa che mi piace moltissimo fare.

Molto lavoro “altro” è ancora in corso, soprattutto a livello di promozione internazionale, sia a livello giornalistico che live. Nuove date si aggiungeranno a quelle annunciate ad oggi, ci sono progetti di reading sonori e proposte per esibizioni in ambienti culturali diversi dove noi già ci muoviamo agilmente.

 

Tornando alla questione dei vostri live: nonostante le, immaginiamo, numerose difficoltà che avrete incontrato per portare in giro “Tales of Faith and Lunacy”, che idea vi siete fatti delle reazioni da parte del vostro pubblico dopo la bufera Covid? Come è cambiata, se è cambiata, la dimensione “concerto” rispetto al recente passato? E, soprattutto, visti i recenti, sempre più numerosi annullamenti delle esibizioni che si stanno registrando adesso che è ricominciata la stagione al chiuso, che cosa vi aspettate dai concerti dei prossimi mesi?

 

NK – La verità è che fare musica dal vivo è diventato sempre più difficile. Ancora di più per realtà così di nicchia e particolari come questa. Non ho notato grossi cambiamenti in tutta onestà, se non in peggio a livello di affluenza di pubblico. C’è sicuramente molta offerta sul campo, ma tale offerta spesso non è controbilanciata da un numero di presenze, come dire, “decoroso”. E mi riferisco sia alI’Italia che all’estero. Devo però anche aggiungere che il pubblico è sempre parecchio affascinato dal nostro live, molti rimangono colpiti dall’assenza di percussioni e di una sezione ritmica che detti un tempo, e allo stesso tempo questo li porta in una sorta di altra dimensione intima e interiore in cui si perdono. Riceviamo sempre ottimi feedback da parte delle persone che ci vengono a vedere e speriamo solo che i numeri possano aumentare sempre di più, poiché siamo consapevoli del valore di quello che presentiamo. Le aspettative per le nuove date sono comunque positive, anche perché il disco sta già riscuotendo ottimi consensi nel settore. Il mio desiderio è poi quello di uscire dalla dimensione tipica del club per portare questo tipo di set anche in contesti più “artistici”, come già abbiamo fatto in passato. Quest’altra “dimensione” credo si sposi molto bene con un progetto come il mio, che ha bisogno, per essere goduto appieno, del giusto contesto e, diciamolo, anche del giusto pubblico.

 

Ascoltando la tracklist del disco, confesso che le canzoni che più mi hanno affascinato, almeno al momento, sono “The Pale Kingdom” e “Lacrimi și Sfinți”, con il loro incedere così coinvolgente. Potete raccontarcene la genesi?

 

NK – “Lacrimi și Sfinți” nasce, come accennavo in precedenza, dall’ispirazione di un libro di E. Cioran. Ciò che mi ha colpito in questo scritto, aldilà dello specifico aspetto filosofico sul quale non mi addentro, sono alcune frasi, come ad esempio:

 

“Al giudizio finale verranno pesate soltanto le lacrime.”

“Ogni vera musica è sgorgata dalle lacrime, nata com’è dal rimpianto del paradiso.”                                             “Il limite di ogni dolore è un dolore più grande.”                                                                                                         “Si crede in Dio soltanto per evitare il monologo tormentoso con la solitudine.”                                                 “La musica è l’emanazione finale dell’universo, come Dio è l’emanazione ultima della musica.”

In questi “aforismi” ho trovato una forte connessione con il mio vissuto quotidiano che poi è quello che mi porta a scrivere le mie stesse canzoni. Era come leggere una sorta di autobiografia del mio credo artistico, e allo stesso tempo, figure di cantautori a me molto cari come Nick Cave o Johnny Cash mi sembravano rivivere in queste stesse frasi. Ho sentito una forte valenza poetica in ogni singola parola, qualcosa di estremamente potente, come nei “Fiori del Male” di Baudelaire, che mi ha affascinato e, in qualche modo, ispirato. Questa aurea mistico-salvifica della musica nel buio della vita, questo costante tormento della vita stessa… tutto mi sembrava molto vicino al mio mondo! Talmente vicino da ispirarmi la stesura di una canzone e delle sue parole.

SS – “The Pale Kingdom” è l’unico testo che ho scritto per questo album, nel precedente ne avevo firmati tre, forse il più connotato era “Angelene’s Desert,” una sorta di reading/sermone che rimane il mio brano preferito. Questa volta Nero aveva prodotto molto materiale e mi sembrava intrusivo aggiungere qualcosa, se non queste parole che canticchiavo nella penombra della stanza strumenti dove lavoriamo, mentre facevo risuonare, nel mio modo imperfetto, le note più basse della chitarra elettrica – “White Demons and Angels in tears, dancing over my head, White Demons and Angels in tears, dancing, eating my face” (demoni bianchi e angeli in lacrime che danzano sopra la mia testa e mangiano il mio volto)… In realtà in testo descrive una sorta di Olimpo abitato da Dei stanchi e annoiati, dalle mani candide e bianche che penzolano sopra la nostra testa nel cielo, il Pallido Regno.

L’arrangiamento proposto con le voci che si sfaldano e l’effetto del processo dei nastri apportato dal produttore Matt Bordin, rende perfettamente questa idea di sgretolamento di templi e rovine, di un bellissimo regno in distruzione che avanza.

 

Leggendo quello che scrivono su di voi a livello di stampa nazionale ed internazionale, salta all’occhio il reiterato accostamento all’ultima produzione del duo creativo Nick Cave-Warren Ellis. Come vi sentite messi di fronte a questo (impegnativo) paragone e, più in generale, rispetto a “Tales of Faith and Lunacy”, sono cambiate le vostre influenze? Cosa ascoltate di nuovo, avete nuovi suggerimenti per i lettori?

 

NK – Tale accostamento è per me assolutamente centrato perché mi sento molto vicino agli ultimi lavori del duo Cave-Ellis. In particolare “Ghosteen” è un album che mi è piaciuto molto e che è stato fonte di ispirazione per questo disco. Così come lo sono stati alcuni scritti di Cave che leggo nel suo blog “The Red Hand Files”, di cui sono assiduo fruitore. Il paragone ingombrante lusinga ma non mi turba perché ovviamente non può esserci un vero confronto. Siamo semplicemente categorie di peso (molto) diverse. È bello però vedere come alcune tue influenze vengano riconosciute e apprezzate dal pubblico. Come è bello fare proprie queste influenze e trasformarle in qualcosa di personale. Rispetto a “Tales of Faith and Lunacy”, per quanto mi riguarda credo non ci siano stati grossi stravolgimenti a livello di ascolti, anche perché io prendo tendenzialmente più ispirazione da libri e dipinti piuttosto che da altri musicisti.

 

SS – Io consiglio Julinko, artista veneta dream doom che aprirà alcune delle nostre date nel tour, e la magnifica Darkher, nuova regina britannica del dark folk che si affianca alle mie preferite Nico e Lingua Ignota. I miei top rimangono ascolti non nuovi, come Michael Gira/Swans, Wovenhand, Nick Cave, Joy Division, Chopin.

 

Ultima, “dolorosa” domanda: per chi come voi si trova al di fuori di una “scena” musicale facilmente identificabile, quanto sta diventando difficile sgomitare al giorno d’oggi qui in Italia per cercare di sopravvivere? Se aveste una bacchetta magica, quale tipo di incantesimo provereste a fare per far sì che le orecchie di un pubblico un po’ più vasto si dedicassero all’ascolto di una musica particolare come la vostra?

 

NK – E’ una domanda difficile perché tanti potrebbero essere gli aspetti sui quali lavorare. Fare il musicista è da sempre un mestiere difficile o, per i più, un secondo lavoro, anche se in realtà esso viene spesso vissuto in maniera totalizzante, e più è totalizzante più diventa difficile scendere a compromessi. Ma l’Arte è purtroppo soggetta da sempre a questo tipo di trattamento proprio a causa di una società che di base non la ritiene fondamentale per la vita di tutti i giorni. L’uomo comune non si nutre di Arte, al massimo la vive di riflesso. Sarei quindi felice se la gente si riavvicinasse sempre di più ad essa e soprattutto alla vera Bellezza. Ai contenuti, alla sostanza, lasciando da parte tutto questo frenetico mondo “usa e getta” che ci sta semplicemente uccidendo. Vorrei che le persone ritornassero al Bello, alla Poesia, alla Natura e a tutto ciò che potrebbe rendere l’uomo migliore. Se la Musica è l’emanazione finale dell’Universo, vorrei che l’uomo vi si riavvicinasse per respirare l’Infinito.

 

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